Settimana del Lavoro 2022

un’utopia concreta: unire lavoro di qualità e sviluppo sostenibile

La transizione ecologica, da utopia promossa dai movimenti ecologisti e ambientalisti, diventa riferimento fondamentale delle politiche degli stati per effetto dei cambiamenti in atto nel Sistema Terra. È la condizione essenziale per la continuità dell’antropocene. Vanno esplorate con coraggio le vie per coniugare il benessere economico e sociale e la sua diffusione con la salvaguardia dell’ambiente.

In Piemonte oltre 40mila aziende dal 2016 hanno investito in tecnologie e prodotti a basso impatto, e nel 2020 il 15% degli occupati ha svolto un green job. Questi nuovi lavori stanno, sia pur lentamente, crescendo e nei prossimi quattro anni le competenze green saranno richieste nel 38% dei casi.

È possibile mantenere un livello desiderabile di occupazione stabile e di sviluppo economico-sociale salvaguardando l’ambiente? Quali investimenti sono necessari per creare nuove opportunità di lavoro e per ripensare quelli tradizionali? Quale cultura del lavoro e della solidarietà è necessaria per uscire dalla crisi ecologica? Quali livelli di governance sono richiesti?

Affrontare un problema come il cambiamento climatico richiede una collaborazione senza precedenti tra nuovi saperi e lavoro. Tale sfida esige che si creino nuovi consumi, nuovi modi di produrre, nuove tecnologie, nuove culture, nuovi modi di organizzare il mondo. La Settimana del Lavoro 2022 è un passo verso la sostenibilità.

LA TRANSIZIONE ECOLOGICA

Il cambiamento climatico, i consumi crescenti di energia e di risorse naturali e i connessi fenomeni sociali ed ambientali si impongono all’attenzione degli abitanti del Pianeta e sono elementi fondamentali delle agende di governo. Da più parti vengono richieste trasformazioni significative delle modalità di produzione, riproduzione e organizzazione dei vari paesi, in primis di quelli sviluppati. Il dibattito in corso è ampio, avanza proposte differenti e in alcuni casi tra loro contraddittorie, affronta le complesse tematiche della green economy e postula, in ogni caso, una transizione verso modelli di organizzazione dell’economia e della società che segnino una rottura rispetto ai modelli consolidati nel periodo dello sviluppo industriale che abbiamo vissuto.

I cambiamenti sociali necessari per far fronte alla crisi ambientale richiedono non solo un ripensamento tecno-scientifico, ma, soprattutto, la riorganizzazione del lavoro destinato a produrre e distribuire beni e servizi. Si va in ogni caso affermando la necessità di un lavoro attento alla qualità e al contenuto di conoscenza, adeguato a contenere il consumo di energie e risorse naturali, organizzato e progettato per gestire le conseguenze del proprio agire, anche quelle non immediatamente visibili. Si ambisce a un lavoro più creativo, parsimonioso nell’impiego di tempo ed energia, in grado di promuovere un’etica che abbia espliciti i riferimenti al futuro della nostra specie e del pianeta. È una sfida epocale, come quella che si è presentata alla nascita e allo sviluppo dell’industria, perché nell’arco di breve tempo esige che si creino – come sta già accadendo – nuovi modi di produrre e consumare, nuove tecnologie, nuove culture, nuove relazioni tra le persone, nuovi modi di organizzare il lavoro.

Questo insieme di cambiamenti costituisce la cosiddetta “transizione ecologica”, passaggio che richiede di prendere in considerazione diversi fattori. Innanzitutto, si tratta di riorganizzare quei sistemi di produzione che, dipendendo da energia fossile, costituiscono le principali cause del caos climatico ma sono anche il contesto nel quale sono coinvolti miliardi di lavoratori e consumatori a livello globale. Inoltre, la trasformazione radicale richiesta per far fronte al cambiamento climatico dei sistemi di produzione, distribuzione e consumo di merci riguarda non solo gli artefatti tecnologici, i mercati, le infrastrutture e i valori culturali, ma anche le persone, le loro pratiche individuali e collettive. Cambiare pratiche sociali consolidate come quelle del lavoro e del consumo non è per niente facile, soprattutto per i paesi occidentali avvolti in modi di vita che resistono al cambiamento. Anche per questo il lavoro è uno degli ambiti che verrà toccato in profondità dai cambiamenti socio-ecologici con effetti su sistemi sociali già ora segnati da iniquità e ingiustizie e ulteriormente esacerbate dai cambiamenti ambientali. I cambiamenti economico-sociali dovranno pertanto tenere presenti tali ingiustizie per ridurle. Infine, bisogna aggiungere che il processo di transizione ecologica deve essere valutato anche nel breve periodo e non solo nei tempi lunghi: ciò significa che i suoi effetti possono essere ambivalenti: per alcuni anni se ne potranno vedere soprattutto i costi, come la perdita di posti di lavoro in taluni settori, qualora non siano controbilanciati da adeguate iniziative e misure di innovazione e sviluppo, per un altro verso la nascita di attività legate alla green economy potrà generare nuove occupazioni, richiedere nuove competenze professionali, non sempre facilmente reperibili nel mercato del lavoro, innescare nuove dinamiche di attività.

Andare verso la sostenibilità non è un processo che dipende da una singola soluzione, ma un mosaico costituito da una miriade di interventi che si affiancano per definire il panorama del futuro e che possono avere effetti contraddittori.

scenario

Transizione

Storicamente abbiamo già assistito a molte transizioni. Negli ultimi tre secoli, la “prima grande transizione” dalle società agricole a quelle industriali ha prodotto industrializzazione, urbanizzazione, istruzione e cultura di massa. Una “seconda grande transizione” è stata caratterizzata, da un lato, dallo sviluppo dello stato sociale e dei diritti del lavoro, dall’altro lato, da automatizzazione, robotizzazione, informatizzazione, diffusione del tempo libero e dei viaggi che hanno avuto l’effetto di aumentare i consumi di energia e di risorse. Oggi si pone il problema di cambiare le fonti di energia, di contenerne i consumi e di ridurre il ricorso alle materie prime per ragioni ambientali e geo-politiche; si profila quindi la necessità di una “terza grande transizione”: quella ecologica, della sostenibilità, della riconsiderazione della natura, una transizione che necessariamente avrà caratteri innovativi. Il cambiamento richiesto è un fattore universale e pervasivo della vita sociale che riguarderà non solo la sfera economica ma anche il sistema dei valori.

Lavoro

Si stima che le persone che nascono oggi, per l’oltre 60% dei casi, svolgeranno un lavoro ad oggi ignoto. Inoltre, la quantità di informazione che oggi produciamo nell’arco di un anno è uguale a quella prodotta dall’umanità dalla sua nascita fino all’anno precedente. In questo quadro, i caratteri relativi ai lavori tradizionali con i connessi diritti sociali non saranno facilmente trasportabili su lavori che si basano su competenze e presupposti fortemente innovativi. Tuttavia ciò non può fornire il pretesto per una destrutturazione dei diritti del lavoro, per la lacerazione delle reti di protezione sociale, per un affievolimento del ruolo dell’autorità pubblica nella tutela della salute sia dei lavoratori che dei consumatori. In particolare, la necessità di contenere l’impronta di carbonio dei prodotti e dei servizi, da un lato porta alla luce comportamenti di parsimonia e di riuso propri di lavori che ritenevamo confinati nel passato, e dall’altra richiede originalità e fantasia per configurare attività collettive che sostituiscano modelli organizzativi consolidati. Occorre partire dalle proprie radici perché il futuro non è mai solo distruzione del passato. Nuovi lavori nascono da quelli precedenti, trasformati anche radicalmente o innovati dalle sollecitazioni del presente.

L’equilibrio che questo genera è difficilmente prevedibile. Ci troviamo di fronte a opinioni legittimamente differenti: si tratta di approfondire con rigore scientifico le questioni che si pongono cercando di avere rispetto delle opinioni altrui tenendo fermo l’obiettivo della coesione sociale e della salute pubblica.
La green economy può riguardare tutte le imprese e generare effetti positivi anche sull’occupazione e sulla sua qualità favorendo sia la nascita dei green jobs sia la diffusione di competenze green in molte, tendenzialmente in tutte, le occupazioni. Può comportare, dunque, in tutti i settori d’attività un aumento di quegli occupati che contribuiscono in maniera specifica a “preservare o restaurare la qualità dell’ambiente naturale”. La richiesta di queste nuove professioni non riguarda solo i settori tradizionali della produzione di energia, del trattamento delle acque, dello smaltimento dei rifiuti, della riforestazione e del restauro della qualità del territorio, ma tutti i settori e le attività lavorative, con particolare riferimento alla ricerca e sviluppo, all’ingegnerizzazione dei processi, al marketing, alla comunicazione, alla logistica, ai servizi generali. La green economy richiede un ripensamento delle filiere formative in modo da dare spazio alle sviluppo di competenze green, declinate secondo le diverse specializzazioni. Si tratta di un grande sforzo di progettazione formativa che vede le Università in prima fila sui versanti sia della formazione dei nuovi green jobs sia della formazione del personale che sarà inserito nel sistema di istruzione e formazione.
Rimane di drammatica attualità il tema della sicurezza del lavoro: il numero di morti e di incidenti sul lavoro, di malattie professionali è intollerabilmente elevato. Il passaggio alla green economy non comporta uno spontaneo ridimensionamento del problema, anzi, è possibile che ai tradizionali rischi se ne affianchino di nuovi. Occorrono specifiche e più efficaci misure legislative, il potenziamento e la qualificazione dei sistemi pubblici di controllo sulla sicurezza nella generalità dei posti di lavoro, un legame più stretto tra prevenzione e repressione volta a garantire il rispetto delle norme antinfortunistiche e di tutela della salute anche nei nuovi contesti della transizione green.

Sviluppo

I rapporti tra sviluppo economico e sostenibilità ambientale sono stati pensati spesso in contrasto tra loro, seppur in due diversi modi. Da un lato, la crescita economica e il consumo erano considerati compatibili con l’ambiente inteso come una riserva di risorse illimitate in grado di fornire materie prime, energia e persone, di assorbire rifiuti e scarti, di trasformare gli assetti naturali senza che vi fossero alterazioni significative nell’equilibrio ecologico. All’opposto, considerare lo sviluppo economico e la sostenibilità ambientale in contrasto tra loro ritenendo ineluttabile che la crescita economica e sociale comportasse l’esaurimento di alcune fonti di energia, l’inquinamento, la scomparsa di molte specie di fauna e flora, ecc. La tutela dell’ambiente era considerata un costo non sostenibile che avrebbe rallentato inevitabilmente la crescita economica e la modernizzazione di un paese.
Oggi la crisi ambientale del pianeta appare sempre più evidente: è ormai chiaro a molti che per la prima volta gli uomini esercitano un’influenza tanto estesa e profonda sul pianeta da mettere in crisi il suo equilibrio ecologico, siamo cioè nell’era dell’antropocene. La popolazione del pianeta e il consumo di energia sono rimasti praticamente costanti fin alla nascita dell’industria; da allora, e in misura crescente, è diventato sempre più difficile coniugare la diffusione del benessere economico e sociale con la salvaguardia dell’ambiente. Gli ostacoli sono di vario genere: spesso si tratta della difesa di interessi particolaristici (delle persone, delle imprese, degli stati), di ritardi culturali, di errori previsionali. Altre volte sono ostacoli legati alla storia del precedente modello di sviluppo: è accaduto spesso di dover trovare non facili soluzioni tra la chiusura di attività produttive altamente inquinanti e il mantenimento dell’occupazione connessa a quelle attività.
La green economy cerca di coniugare un modello di sviluppo sostenibile con la realizzazione di attività di business. Essa muove dall’assunto che si possano produrre beni e servizi e consumarli riducendo l’impatto ambientale e migliorando la sostenibilità sociale delle attività economiche. Essa intende abbandonare il modo con cui per tutta una fase dello sviluppo economico-produttivo le imprese hanno teso solitamente a utilizzare l’ambiente circostante come un deposito di risorse illimitate e come un contesto in cui scaricare le esternalità negative del loro agire.
Tuttavia alle volte accade che la green economy e le politiche di sostenibilità siano formalmente adottate dalle imprese, ma in realtà sono semplici iniziative di facciata, prive di aspetti sostanziali, per realizzare un vantaggio reputazionale nei confronti dei concorrenti. Il cosiddetto greenwashing può riguardare tutte e tre le forme di sostenibilità – ambientale, sociale, economica –, in particolare può manifestarsi, come hanno dimostrato clamorosi casi di cronaca, in determinati segmenti delle filiere lunghe del valore, dove l’impiego di forza lavoro minorile o la presenza di condizioni di lavoro insostenibili o dove le modalità di smaltimento dei rifiuti sono in aperta contraddizione con le scelte pubbliche delle imprese nel campo della sostenibilità. Contemporaneamente si fanno strada inedite esperienze di produzione sostenibile dove il miglioramento della qualità del prodotto e servizio si accompagna a politiche di salvaguardia dell’equilibrio con il territorio, ad ambienti di lavoro più attenti alla salute dei lavoratori, all’utilizzo di processi produttivi meno energivori, al rispetto della dignità e dei diritti del lavoro. La loro importanza travalica l’ambito di applicazione perché dimostrano che cambiare si può, che una transizione verso un’economia green è possibile.

Alla luce dell’ampiezza degli scenari appena rappresentati, la Settimana del Lavoro non può certo esaurire la complessità delle tematiche affrontate: intende concentrare il dibattito su alcuni temi specifici ma dalla valenza generale, che permettono già oggi di pensare a delle prime soluzioni.

obiettivo

L’esigenza di una profonda trasformazione del nostro sistema economico è universalmente avvertita. Infatti, l’impatto sull’ambiente e sulle stesse condizioni di vita delle persone conseguente al modello di produzione industriale, all’incremento della popolazione e dei suoi consumi energetici richiede un ripensamento da molti invocato come urgente e radicale. Questo genera tensioni e contrasti di rilevanza geopolitica: non si confrontano, infatti, soltanto diverse soluzioni tecnologiche, ma modelli di vita e di organizzazione sociale che derivano dalle diverse condizioni di vita delle popolazioni e ancor più da diversi riferimenti culturali che hanno connotato la loro storia.
ISMEL intende esaminare le opzioni possibili per il nostro territorio coinvolgendo, da un lato, le rappresentanze politiche e sociali del Piemonte e, dall’altra, evidenziando i riferimenti interni dei valori che nascono da radici profonde.
Alla luce dell’ampiezza degli scenari appena rappresentati, la Settimana del Lavoro non può certo esaurire la complessità delle tematiche affrontate: intende concentrare il dibattito su alcuni temi specifici ma di valenza generale, che permettono già oggi di pensare a prime ed efficaci soluzioni.